M. arriva nel mio studio con un problema d’ansia. È in una fase della vita molto incerta: lavoro precario e parecchi dubbi su una relazione di coppia che non la soddisfa.
In questa situazione di vita molto complicata M. si sente schiacciata, incapace di prendere decisioni e bloccata da una perenne preoccupazione su come muoversi. È in una condizione di blocco ansioso da diverse settimane.
Decidiamo di iniziare il lavoro sulle sue preoccupazioni e, in particolare, la faccio riflettere sulla natura dei suoi pensieri ansiosi, che le impediscono di prendere decisioni. Sono preoccupazioni “utili”, o il suo è un inutile arrovellarsi? Come fare una distinzione?
Vediamo alcuni importanti aspetti.
La preoccupazione “utile” e “inutile”
Chiaramente non sempre preoccuparsi è un’azione priva di senso.
Se dobbiamo organizzare un viaggio è utile preoccuparsi di fare rifornimento di benzina e prevedere dove si pernotterà.
In altri casi “arrovellarsi” porta solamente a prevedere un’infinità di ipotesi disastrose e di conseguenze negative, nell’idea che “se mi preoccupo di qualcosa significa che essa è importante”, e “non posso sopportare che la situazione sia incerta, per cui devo trovare una soluzione”.
Vediamo cosa contraddistingue il rimuginare inutilmente su un problema.
Come ci si può trovare ad arrovellarsi inutilmente?
Alcuni “stili di pensiero” facilitano la cosiddetta ruminazione, ovvero il bloccarsi in sterili pensieri e ipotesi sul futuro, e su come ci dobbiamo comportare per evitare disastrose conseguenze.
Vediamo alcuni elementi che producono la ruminazione.
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Fissarsi su domande che non hanno una risposta. Alcuni dubbi sono senza risposta. Ad esempio chiedersi: “Perché questo è capitato proprio a me?”, oppure “Perché la vita è così ingiusta?”.
Il problema di queste domande è che potremmo dedicarci ad esse per anni senza trovare una risposta: questo perché sono domande che non hanno una soluzione. È un po’ come cercare di uscire da un labirinto che non ha uscite, ma ci riporta sempre al centro di esso. - Cercare una soluzione perfetta. Ruminiamo su un problema anche quando cerchiamo delle soluzioni che ci diano una certezza assoluta, rifiutando quelle che possano contenere degli elementi di dubbio o insicurezza. Questo “stile di pensiero” ha due conseguenze. Primo, continuiamo a pensare a continue alternative, bloccandoci senza sceglierne alcuna. Secondo, ripensiamo alle scelte fatte con rammarico, nella convinzione che avremmo potuto scegliere meglio.
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Pensare che dobbiamo rimuginare per ridurre l’ansia. Ciò ci conduce ad insistere sulla ricerca di una soluzione, nella convinzione che ci sarà un momento in cui ci saremo preoccupati abbastanza e allora potremo rilassarci.
Se veniamo distratti dal nostro rimuginìo, è un po’ come se trascurassimo di pensare a qualcosa di molto importante e non ce lo perdoniamo. - Pensare di poter avere tutto sotto controllo. Questo ci conduce ad una specie di onnipotenza illusoria, nella convinzione che possiamo controllare anche aspetti che, di fatto, sono incontrollabili. Questo atteggiamento mentale ci conduce a sentirci perennemente frustrati dalla realtà che sfugge al nostro controllo e spesso è imprevedibile.
- Pensare alle reazioni a catena. Il rimuginare ha il potere di farci piombare nel timore che ci potrebbe essere una catena di eventi sempre più disastrosi. Rimaniamo intrappolati in un “film” dentro alla nostra testa nel quale gli eventi porteranno inevitabilmente ad un tragico epilogo. “E se il mio capo ce l’avesse con me? Finirei per perdere il lavoro…”. “E se questa strana sensazione che ho al braccio fosse l’inizio di un serio problema? Potrei avere un infarto…”. E così via.
Questi sono alcuni esempi di “stili di pensiero” che ci inchiodano nel rimuginìo.
Nel prossimo articolo vedremo alcuni esempi alternativi che ci permettono di non farci bloccare dai nostri dubbi.