La lotta con i pensieri

A. venne un giorno nel mio studio molto angosciata dai suoi pensieri. Il suo chiodo fisso era il fidanzato, o meglio il timore che potesse scegliere un’altra donna e l’abbandonasse.

Nonostante non ci fossero avvisaglie o prove di questi suoi timori, e anche se A. stessa si rendeva conto dell’illogicità dei suoi sospetti, ciononostante non riusciva a liberarsene. La sua mente la ossessionava.

Ad A. dissi alcune cose.

La prima era che bisognava imparare ad abbandonare la lotta con i suoi pensieri.
Più ci intestardiamo a voler scacciare alcuni pensieri che consideriamo illogici e fastidiosi, più “nutriamo” quei pensieri.
Provate a non pensare a un elefante rosa. Appena lo nomino lo immaginiamo; e più cerchiamo di scacciare la sua immagine, più l’elefante rosa rimane.
Per questo per prima cosa bisogna abbandonare la lotta con i pensieri. Bisogna esercitarsi nell’”accettare” che i pensieri sono in buona parte fuori dal nostro controllo, essi arrivano e restano quanto vogliono.
Questo non vuol dire che dobbiamo esserne schiavi: anche se sono presenti dubbi o preoccupazioni possiamo continuare a fare la nostra vita, cercando di andare verso ciò o verso chi è importante per noi.
Si può condurre una vita di valore anche se sono presenti pensieri angosciosi.
Diffidate di chi vi dice di “svuotare la mente”, semplicemente non si può fare.
I pensieri hanno una loro vita, indipendente dalla nostra volontà.

Ciò detto, il lavoro iniziale che feci con A. fu di aiutarla nell’”accettare” i suoi pensieri, o meglio, che c’erano e rimanevano, al di là dei suoi sforzi per liberarsene.
Solo con un’accettazione iniziale di ciò che c’è si può pensare al cambiamento: si deve partire dall’accettazione.
È un po’ come stare sul ghiaccio, come dice R. Harris: per fare un passo devi stabilizzarti, devi creare una base, da cui puoi partire per fare il primo passo.

La seconda cosa che feci con A. fu di spiegarle che ci sono due tipi di “mente”, al di là di quello che crediamo: la mente “che pensa” e la mente “che osserva”.

Ecco più o meno quello che le spiegai.

La mente che pensa

Anche se non ce ne accorgiamo, è come se in testa avessimo una radio.
Voglio dire che continuamente la nostra mente ci dice delle cose: ci ricorda quello che dobbiamo fare, giudica le nostre azioni o quelle degli altri, racconta di quella volta in cui abbiamo sbagliato e dovevamo comportarci diversamente…La nostra mente pianifica, analizza, confronta, ricorda, fantastica. 
A volte però quello che la mente produce, i pensieri, diventa “colloso”, e noi rimaniamo invischiati continuamente nei nostri pensieri, dubbi, timori, che diventano un chiodo fisso e ci provocano angoscia.
È qui che entra in gioco l’utilità della mente “che osserva”.

La mente che osserva

La mente “che osserva” è radicalmente diversa da quella che pensa. È consapevole, ma non pensa: è quella parte di noi che è responsabile della concentrazione, dell’attenzione e della consapevolezza. Essa può osservare i nostri pensieri, ma non li produce.
Pensa a quando stai sciando. Tutta la tua attenzione è presa dal paesaggio che scorre accanto, dalle sensazioni di piacevolezza dello scivolare sulla neve, dal sentire l’aria fresca e il sole…non stai pensando ai tuoi movimenti, a come sposti il peso o a come tieni i bastoncini.
Immagina che tu cominci a pensare: “Dovrei avere una postura migliore”, “Sarà meglio che affronti quella curva senza cadere”, “Non so se riesco ad affrontare questa discesa ghiacciata”.
Allora, in questo caso, è all’opera la mente “che pensa”. Ovviamente può essere distraente: se si presta troppa attenzione a questi pensieri, inevitabilmente scierai meno bene.

E così capita tutte le volte che siamo immersi in qualcosa che ci prende totalmente, come, ad esempio, osservare un bel paesaggio. Se cominciamo a pensare: “Accidenti, dovevo portare la macchina fotografica”, cominciamo a distrarci e a non essere più in contatto con il momento presente.

In conclusione dove ci porta questo discorso?
Ricordate l’immagine della radio che abbiamo in testa di cui parlavo prima?
Abbiamo sempre dei pensieri che ci ronzano in testa, che siano previsioni sul futuro che ci attende o ricordi del passato.
Una volta che cominciamo a comprendere che i nostri pensieri (o timori, o dubbi) sono “solo” parole, non dati di fatto, allora possiamo cominciare a trattarli come un rumore di sottofondo.
Ed è ciò su cui ci focalizzammo con A.

Una volta che accettò che c’erano questi pensieri, cominciammo a lavorare per creare uno spazio interno attorno ad essi, uno spazio di consapevolezza.
Se si crea questo spazio attorno ai pensieri, allora non ci identifichiamo più con essi, non ne siamo più schiavi.
Se riusciamo a creare questo spazio, ad “alimentare la mente che osserva, allora riusciamo a lasciare che i pensieri arrivino e vadano via nel sottofondo, mantenendo l’attenzione su ciò che stiamo facendo.
Come dissi ad A., se partecipava a una serata romantica e cominciava a pensare: “Come sono noiosa! Sicuramente lui si sta pentendo di essere uscito con me. Probabilmente pensa a qualcun’altra…”, è ovvio che sarebbe stato difficile fare una bella conversazione prestando attenzione a questi pensieri.

Altra cosa è accorgersi che arrivano questi pensieri, rendersi conto di quando si è presi all’amo da essi, sganciarsi “gentilmente” e rifocalizzare l’attenzione su ciò che avviene nel qui e ora.
Gran parte del lavoro con A. si concentrò su questi obiettivi.
Ovviamente i pensieri angosciosi sul suo rapporto di coppia continuarono a presentarsi per A., ma lei imparò a non andarci dietro, a non crederci come se fossero verità, e questo le permise di vedere anche gli aspetti positivi del suo rapporto di coppia.

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