Sono abituato a considerare le persone che vengono in studio da me come individui che sperimentano una situazione di blocco.
Spesso si vivono come “guaste”, “rotte”, “da riparare”. A volte vengono mandate in terapia dal partner, che le considera “malate”, “incapaci”, come se fossero dei giocattoli da riparare, e io fossi il meccanico esperto.
L’ACT (Acceptance and Commitment Therapy) ci insegna che le persone non sono individui da riparare, ma esseri che stanno vivendo un periodo di stagnazione, come se fossero imprigionate nelle sabbie mobili.
Continuano a ripetere gli stessi circoli viziosi, senza capire come uscirne.
Su cosa si fonda questo blocco?
L’ACT sostiene che esso è alimentato da due processi psicologici principali.
- La fusione cognitiva
Questa dinamica psicologica accade quando la persona non riesce più a vedere che i suoi pensieri sono solo pensieri, e comincia a credere fermamente ad essi, come se fossero delle verità.
Ad esempio quando una persona ha paura di avere una malattia, comincia a prefigurarsi tutta una serie di conseguenze catastrofiche, si costruisce dei veri e propri castelli in aria, “credendo” ciecamente ai propri pensieri.
Non riesce a vedere che sono solo pensieri nella sua testa, una sequenza di parole generate dalla mente, si immedesima a tal punto in quello che pensa e prevede, che costruisce la sua giornata in base a quelle credenze, come se fossero dei dati di fatto.
Questo ci porta al secondo processo psicologico bloccante.
- L’evitamento esperienziale
Più una persona crede ai propri pensieri, più è portata a evitare tutta una serie di esperienze che potrebbero provocare sofferenza.
Se, ad esempio, sono stato invitato a una festa e comincio a pensare che, se ci andrò, poi gli altri cominceranno a giudicarmi e a guardarmi male, e se credo che questo avverrà sicuramente (ovvero mi fondo con i miei pensieri), allora eviterò di andare alla festa.
Sul momento questa scelta mi farà sentire bene.
Però se alla lunga comincio ad evitare tutta una serie di esperienze o luoghi che trovo “scomodi”, allora comincerò a restringere la mia vita. Essa si ridurrà sempre più e sarò sempre più bloccato.
Di fatto non mi muoverò più verso ciò che per me è importante (i miei valori, le cose e le persone a cui tengo), ma sceglierò solo in base all’evitamento, per scongiurare la possibilità di stare male.
Questo ci porta al quarto principio dell’ACT, “Essere vitali è diverso dal sentirsi sempre bene”, che approfondirò nel prossimo articolo.